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DolorosaMente 13

La sofferenza psicologica è insita nell’uomo e va dalle gravi malattie mentali a quelle situazioni di disagio che tutti, più o meno, abbiamo sperimentato o di cui abbiamo

comunque sentito parlare  come stress, ansia, panico, fobie.

 

 

 

Il lavoro, i numeri e l'astronauta

 

Un ipotetico paese – chiamiamolo Landia – ha un modesto programma di esplorazione spaziale, adeguato agli obiettivi (ad esempio trovare nuove fonti di energia) e compatibile con gli investimenti pubblici disponibili. Possiede quindi una singola astronave. L'astronave necessita di un pilota, un copilota, 10 persone di equipaggio, 10 tecnici, 22 persone in tutto.

Molti giovani di Landia sognano di fare gli astronauti e tutti ambiscono a fare i piloti. Studiano Astronautica e si preparano a fare infiniti esami e concorsi per superare le selezioni e conquistare l'agognato posto di comando. Uno ce la farà, un altro farà il copilota, 10 saranno l'equipaggio, 10 i tecnici.

Tutti gli altri hanno un obiettivo di riserva. Lavoreranno alla costruzione di una seconda astronave, che necessita di ingegneri, collaudatori, tecnici, operai, ecc. Ma anche il personale necessario alla costruzione della seconda astronave è in numero limitato.

Il governo di Landia ha due strade: continuare a costruire astronavi che non verranno mai utilizzate, oppure dirottare i laureati in Astronautica ad altri lavori, convincendoli a considerare la loro preparazione come un patrimonio culturale che in ogni caso non andrà perduto. Come opzione da applicare al futuro, dovrà istituire il numero chiuso alla facoltà di Astronautica (o, ancora meglio, una selezione meritocratica dopo un primo anno “di prova”), programmando in anticipo il numero necessario di laureati che potranno essere impiegati nel settore.

Mi scuso per la metafora forse eccessivamente semplificata, ma a volte è utile anche semplificare per arrivare al nocciolo.

Mettiamo che in un paese del mondo occidentale occorrano mille piloti, mille ingegneri, mille insegnanti, mille psicologi, mille avvocati, e ci si ritrovi con 10.000 piloti, 10.000 insegnanti, 10.000 psicologi, 10.000 avvocati, cosa si può fare?

Si può ammettere gli errori fatti e spiegare chiaramente ai laureati che sono stati sprecati soldi pubblici per la loro istruzione (nessuno ricorda mai che le tasse universitarie non coprono minimamente i costi) e indirizzarli ad altri lavori, oppure ci si può inventare dei posti pubblici inutili al sistema-paese, continuando a sprecare altre risorse pubbliche.

In questo paese (ma credo non solo in questo...), per decenni si sono creati posti pagati con soldi pubblici, inventandosi necessità inesistenti, posti per docenti, primari, forestali, giornalisti, amministratori, “dirigenti”, per non parlare di politici e burocrati assortiti.

Era inevitabile, oltre che prevedibile, che ad un certo punto questo sistema facesse tilt.

Si continua a dire che un tempo non era così, che era più facile sistemarsi, che un laureato aveva la quasi certezza di trovare un lavoro in tempi brevissimi. Possibile. A studiare erano in pochi e i posti c'erano. Per giunta i giovani si chiedevano che “domanda” c'era nel mercato del lavoro, prima di imbarcarsi negli studi relativi e rischiare di pesare per anni sulle famiglie. Benché, anche allora... Permettetemi una provocazione: ma quanti di quelli che negli anni settanta-ottanta si sono piazzati in comodi e sicuri posti pubblici - e che ora si lamentano per le difficoltà incontrate dai propri figli - possono dire onestamente di non aver usufruito di raccomandazioni, presentazioni, clientelismi e nepotismi? E quanti sono disposti a non usarli ancora per i propri figli, se solo capitasse l'occasione? Qual è il risultato del perpetuarsi di questo malvezzo? I raccomandati si consolano pensando Che male c'è? Lo fanno tutti! I pochi non-raccomandati vengono anch’essi sospettati di esserlo. Di tutti, frustrati i primi e arrabbiati i secondi, l’eventuale valore professionale diventa del tutto irrilevante. 

Si dice anche che questa sarebbe la prima generazione che starà peggio dei genitori. Può darsi, però è anche la prima volta che molte famiglie possono permettersi di mantenere i figli fino a trent'anni e oltre e, spesso, con un notevole tenore di vita. Per carità, il mondo è fatto a scale, è sempre stato così: ci sono quelli che occupano i gradini più alti e quelli che stanno nel sottoscala (e, a volte, quelli in alto si sentono vittime di ingiustizia più di quelli in basso, ma questa è un’altra storia).

Si dice che il problema non è l'eccesso di lauree; ad esempio in Italia le statistiche dicono che il numero dei laureati è più basso che negli altri paesi europei. Concordo. Il problema non è la quantità delle lauree (se vogliamo sorvolare sulla qualità, su cui ci sarebbe da fare un discorso a parte); sebbene bisognerebbe tener conto da dove si parte: i laureati e i diplomati dei corsi universitari nel 1945 erano18.933, nel 1995 erano 112.388 (6 volte di più), nel 2009 erano 294.977. Questione di numeri.

Ma a prescindere dai numeri assoluti, il problema è che non ci sono i posti sufficienti per tutti, nelle singole professioni. Dati relativi al 2012, ci dicono che “oltre il 46,3% della domanda di lavoro si concentra sulla ricerca di chi ha conseguito un diploma di scuola secondaria, mentre solo il 14,9% dei posti di lavoro disponibili attende i laureati”.

Secondo dati recenti forniti dall’eurobarometro “il 40% dei giovani svedesi tra i 15 e i 25 anni è disposto a svolgere lavori manuali per i quali il mercato del lavoro riserva il 42% dei posti disponibili mentre in Italia - dove il 48% della domanda di forza lavoro proviene da settori a vocazione artigianale e operaia - solo il 5% dei giovani è consapevole di poter trovare un posto in questi campi”. Ma questo 5%, ammesso che sia consapevole, sarebbe disponibile?

Si dice che è giusto seguire le proprie aspirazioni, cercare di realizzare i propri sogni. E' vero: è giusto. Ma chi ha mai detto che la vita è sempre giusta?

La grande illusione dell'Uguaglianza, imprescindibile  Totem dei paesi democratici,  è quella di far credere che tutti possano – anzi debbano – avere tutto. L'uguaglianza delle opportunità ai nastri di partenza, quella sì, è o dovrebbe essere un diritto, un diritto per cui vale davvero la pena di lottare, e anche di morire, come accade da sempre nella storia dell'uomo. Ma non è mai stato un diritto – né mai lo sarà -  la garanzia di tagliare il traguardo per primi ed ottenere la medaglia d'oro. L'oro va guadagnato.

Riconosciamolo, ci sono lavori che attirano più di altri: sono, o sembrano, più facili, più appaganti, più divertenti. Forse, per conquistarli, bisognerebbe essere pronti a correre dei rischi e a considerare anche la possibilità, nonostante l'impegno, di sconfitte e fallimenti. Magari avere un piano B.

La Cultura, l'Arte, la Ricerca: ecco i grandi temi oggetto di lamentele e rivendicazioni e, soprattutto, ossessive richieste di fondi. Fondi pubblici, naturalmente. Fondi senza fondo, visto il numero degli aspiranti sedicenti artisti, scienziati, geni della politica, della didattica, dell'economia.

L'uguaglianza delle opportunità, siamo sinceri, da noi già esiste, insomma quasi, ed è sacrosanta e preziosa, pur imperfetta. Difendiamola. Miglioriamola. Non diamola per scontata. Tutti hanno il diritto di studiare Astronautica. Ma... resta il fatto che, alla fine, sull'astronave servono 22 persone, non una di più. E questo vale in molti altri campi. Questione di numeri.

Certo, nel privato è diverso: voglio fare il manager, il giornalista, il regista? Voglio puntare tutto su quelle che penso siano le mie capacità? Benissimo, sono libero di farlo, basta rischiare in proprio oppure trovare chi è disposto a credere in me e a fornirmi i finanziamenti. Come? Non è così facile? Infatti. Perché bisognerebbe dimostrare di essere davvero molto bravi per ottenere che qualcuno rischi i propri soldi, giusto? Ma se le cose stanno così, perché dovrebbe essere lo stato a sovvenzionare – con i soldi di tutti – le ambizioni di aspiranti manager, giornalisti, registi, o... astronauti, probabilmente mediocri e provvisti di una presunzione pari solo all'incompetenza? Sottraendo risorse che invece potrebbero essere destinate ai pochi veri talenti.

Non tutti possono fare tutto. Non tutti possono avere tutto.

Ci si può provare, ma non basta desiderare qualcosa per pretenderla come fosse un diritto. E “indignarsi”, o uscirne distrutti, se non la si ottiene. Tutti hanno il diritto di cercare la propria realizzazione, ma per trovarla non tutti possono diventare astronauti, o la Merkel, o Roberto Bolle.

E' questione di numeri. Non è una faccenda politica, non basta cambiare i governi, fare riforme; non si tratta di “creare posti di lavoro” on demand, ma di creare lavoratori per i posti disponibili.

Bisognerebbe rifiutare, individualmente, di adeguarsi alle vecchie logiche: abolire più che il valore legale dei titoli di studio, il presunto valore di status symbol, smetterla cioè di collegare la qualità e la dignità di una “persona” al pezzo di carta o alla scrivania che possiede e, parallelamente, guardare alla cultura come ad una ricchezza in sé, non necessariamente legata all’attività da cui trarre la propria sussistenza.

 

 

Qualcuno potrà chiedersi che cosa c’entra tutto questo con la psicologia.

C’entra… c’entra…

Nell'attuale crisi della nostra società sono individuabili meccanismi di difesa come proiezione, rimozione, negazione, scotomizzazione; e poi deliri di onnipotenza e complessi di inferiorità; atteggiamenti narcisistici e “NIMBY” (Not In My Back Yard); conseguenze dolorose come demotivazione, frustrazione, depressione… per non parlare di funesti  “effetti collaterali” come la tendenza di alcuni alla fuga nello sballo... Devo continuare?

 

Dati statistici tratti da:

http://repubblicadeglistagisti.it/article/riforma-licenziamenti-formazione-mobilita

http://www.edscuola.it/archivio/statistiche/iruniv.html

 

Agosto 2012

 

 

 

 

 

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