TeoricaMente 15
Questa pagina tratta di argomenti di
base della psicologia,
i suoi meccanismi, le sue leggi. Quei
meccanismi e quelle leggi
che tutti utilizziamo, ma… senza saperlo.
Limiti
Dall’individuo “sincero” alla società violenta
Sarà capitato anche a voi che un amico, nel bel mezzo di una
tranquilla chiacchierata, abbia lanciato strali velenosi su
qualcosa o qualcuno che voi invece apprezzate, senza troppo
preoccuparsi della vostra opinione. Certo, si possono sempre
ignorare le frecciate buttate lì quasi per caso, far finta
di nulla, o tentare di proporre – generalmente inascoltati -
un diverso punto di vista, magari meno emotivo; ma se ciò è
relativamente facile quando la frecciata riguarda una
squadra di calcio, è meno facile se riguarda, ad esempio, la
politica.
Allora forse avete tentato di spiegare all’amico, con il
tatto dovuto, che, neppure in nome dell’amicizia, ha il
diritto di insultare qualcuno, solo perché a lui non piace.
E’ probabile che la reazione stizzita sia stata: io sono
una persona sincera, se giudico bene o male qualcuno, mi
sento libero di dirlo chiaramente.
Il sillogismo prospettato è questo:
essere liberi significa essere
sinceri; essere sinceri equivale a dire tutto quello che si
pensa; ergo, dico sempre quello che penso, anche se
quello che penso è offensivo per chi la pensa diversamente.
Proverò a dimostrare che il ragionamento non quadra.
Immagino che si possa concordare sul fatto che, alla base di
un’amicizia, dovrebbe esserci la stima.
Si possono avere gusti e passioni in comune, ma possono
esistere bellissime amicizie anche tra persone completamente
diverse per temperamento, interessi, convinzioni. Purché ci
sia stima reciproca, cioè quella particolare disposizione
mentale che mi fa credere che se tu la pensi in un certo
modo, avrai le tue buone ragioni; ne consegue che se io
offendessi qualcuno o qualcosa che tu apprezzi, solo perché
a me non piace, offenderei anche te, le tue idee, la tua
sensibilità. Se non lo faccio non è per ipocrisia o viltà,
ma per una forma di delicatezza e – paradossalmente –
autentica sincerità, non solo formale: se è vero che
rispetto te, rispetto le tue idee, anche se non le
condivido. Va da sé che se le tue convinzioni sono per me
inaccettabili, non ha senso parlare
di amicizia.
Se dalle relazioni interpersonali si passa al piano
collettivo, il discorso cambia di poco. Basta sostituire al
concetto di “sincerità”
quello di “libertà di opinione”.
Negli ultimi anni il grado di conflittualità sociale si è
alzato in modo allarmante, in proporzione al grado di
libertà percepita, portando l’aggressività espressa a
livelli che non esiterei a definire patologici. Confondere
la libertà di opinione con la libertà di insulto, la libertà
di espressione con la libertà di violenza fisica o verbale,
la libertà di informazione con la libertà di insinuazione e
calunnia, è un segnale di profondo malessere sociale. Di
immaturità prima che di
inciviltà. Come dire:
libertà = tutto lecito.
La Libertà (come la sincerità) non è un bene assoluto, e
perde tutto il suo infinito valore se la si priva della sua
connotazione di bene relativo. Il che è confermato dal fatto
che la vera libertà è possibile, per assurdo, solo
all’interno di determinati confini. Confini che non sono più
vissuti come tali quando, trasformandosi in
autoregolazione,
diventano strumento di maggiore libertà.
Limiti discutibili certo, negoziabili, migliorabili. Limiti
su cui l’umanità si confronta e si confronterà sempre. Ma
pur sempre necessari. Dai piccoli gruppi di ominidi
preistorici alle società più moderne e complesse. Codici non
scritti, regolamenti, leggi, comandamenti, costituzioni e
statuti: la libertà non può non essere
regolata. Diventa altro.
La possibilità di esprimersi nella nostra attuale società,
impensabile pochi decenni fa, sta determinando una specie di
black out dei sistemi di
autoregolazione. I mezzi di comunicazione sono “di
massa” e quindi alla portata di tutti. Internet, come
qualsiasi altra innovazione di quella potenza, può produrre
meravigliosi risultati di conoscenza o guai disastrosi, in
parte al momento poco prevedibili.
Prendiamo i forum e i blog. In quale altro periodo della
storia dell’umanità le persone comuni hanno avuto la
possibilità quasi illimitata di esprimere pubblicamente il
proprio pensiero?
Ora è possibile. Chiunque può partecipare ad un forum o
aprire un proprio blog e mettere in libera uscita pensieri
sublimi e intuizioni geniali; così come sproloqui
inopportuni e attacchi violenti, su temi in cui raramente ha
una specifica formazione o qualche competenza. Spacciando
l’arroganza per coraggio, nella maggior parte dei casi
all’ombra protettiva di un nickname (è bizzarro che chi si
lascia andare a insulti e aggressioni si scandalizzerebbe
davanti ad una lettera anonima, eppure scrivere con un
nickname è l’equivalente moderno della vecchia lettera
anonima compilata con i caratteri ritagliati da un
giornale…).
Perché questa insopprimibile esigenza di esercitare una
sfrenata tuttologia, spesso feroce, non assumendosene
neppure la responsabilità? Forse queste persone non riescono
ad esprimersi in altri ambiti? Forse non riescono a farlo
in maniera tale da non scatenare reazioni risentite? Forse
trovano più facile insultare chi non si conosce? Per quale
motivo non considerano necessario imporsi dei limiti?
La situazione non è migliore nel professionismo della
comunicazione: quanti politici, intellettuali,
ecclesiastici, accademici, "opinionisti", dediti ad
intemperanze verbali ignobili... Il tutto amplificato da
certo giornalismo furioso, stampato o teletrasmesso. Titoli
che sembrano bombe a mano, spesso neppure congrui al
contenuto dell’articolo, testi zeppi di condizionali, di
espressioni denigratorie, formulate sulla base di ipotesi e
insinuazioni precedenti, a loro volta basate su congetture,
in un circolo vizioso e virtuale di conclusioni dedotte non
da fatti accertati e fonti inoppugnabili, ma da ciance
faziose, e non disinteressate.
Parole, e parolacce, vomitate senza cautela, senza rispetto,
senza onestà. Senza limiti.
Eppure, come la stima dovrebbe essere alla base di
un’amicizia, il rispetto reciproco dovrebbe essere il
catalizzatore irrinunciabile di una società veramente
evoluta e democratica.
Dimenticare, dopo tante battaglie per l’uguaglianza, che il
diritto al rispetto è un
primario diritto di tutti, può condurre all’aberrante
convinzione di dover “raddrizzare” le cose anche con la
forza. Ed ecco che la Libertà è sporcata e avvilita da una
nuova barbarie, un analfabetismo psicologico di ritorno,
caratterizzato da comportamenti primitivi, marcata
intolleranza alle frustrazioni e una preoccupante rinuncia a
controllare gli impulsi. Sembra quasi che lo sforzo di
trovare il modo di esprimere le proprie idee, mantenendo il
rispetto per quelle degli altri, sia ritenuto un vezzo
démodé, un’inutile perdita di tempo.
Ma il pericolo maggiore viene sottovalutato: come anche le
psiconeuroscienze ci suggeriscono, l’aggressività fuori
controllo da verbale può diventare facilmente agìta;
l’odio delle parole, come
un lievito mefitico, può montare e montare. Trasformarsi in
violenza.
Bisogna fermarsi in tempo. O non ha
senso parlare di Civiltà.
(Agosto
2009)
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