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        DolorosaMente
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          La sofferenza psicologica è insita nell’uomo e va dalle gravi malattie 
          mentali a quelle situazioni di disagio che tutti, più o meno, 
          abbiamo sperimentato o di cui abbiamo 
           
          
          comunque sentito parlare 
          come stress, ansia, panico, fobie. 
      
      
      
					
					Noi e gli "altri" 
					  
					Uno dei 
					meccanismi alla base dell’anoressia è quello per cui la 
					persona ha un’immagine di sé assolutamente non rispondente 
					alla realtà, per lo meno alla realtà che quasi tutti
					gli altri vedono. In altri 
					termini l’anoressica (ma anche l’anoressico), ossuta e 
					scheletrica agli occhi di tutti e alla prova di bilancia, 
					centimetro e tabelle, si vede
					e si sente 
					cicciona, enorme, sproporzionata. 
					Ebbene, 
					a vari livelli, ciò accade anche per la psiche. Devo 
					precisare che quando dico gli
					altri, intendo dire la maggior parte 
					delle persone che ogni essere umano ha l’occasione di 
					incontrare nel corso di un’esistenza: i parenti, gli 
					insegnanti, gli amici, i colleghi di lavoro, i vicini di 
					casa, il resto del mondo insomma. Qualche giorno fa, un 
					signore mi ha detto:  “Se tutti da una vita mi dicono che 
					sono permaloso, anche se non mi ci sento, beh, ci sarà un 
					motivo!” C'è un motivo: è un signore permaloso. 
					Ci sono 
					persone che si vedono e
					si sentono anni luce 
					diverse da come gli altri le 
					percepiscono. 
					Hanno 
					cioè un’immagine di sé 
					non autentica. Attenzione, questo non vuol dire che fingono, 
					che sono in mala fede. Vuol dire solo che non riescono 
					a vedere la loro vera immagine e quindi  ne assumono 
					una che pensano possa andar bene. Nelle barzellette c’è 
					sempre qualcuno che si crede Napoleone; e anche nella 
					realtà, purtroppo, ci sono malattie mentali che comportano 
					la convinzione di essere qualcun altro, o qualcos’altro. Io 
					invece intendo qui parlare delle persone cosiddette 
					“normali”, essendo il fenomeno della falsa immagine di sé 
					abbastanza comune. Due esempi per tutti. 
					Talvolta 
					accade che questa immagine di sé sia decisamente peggiore di 
					quella evidente agli altri: si tratta in genere di persone 
					miti, timide, che pensano di avere solo doveri e mai 
					diritti, che sono convinte di avere sempre torto; credono di 
					non sapersi difendere dall’aggressività e dalla prepotenza 
					altrui, quindi assumono un atteggiamento remissivo, sperando 
					di passare inosservate. Sono soprattutto convinte che gli 
					altri siano più in gamba, più intelligenti, più forti. Non è 
					quasi mai vero: è solo l’insicurezza acquisita da bambini (e
					coltivata dall’ambiente) che determina questa 
					arrendevolezza, quasi sempre accompagnata da un' incredibile 
					capacità di sopportazione e da immotivati sensi di colpa.
					Gli altri, viceversa,  vedono 
					queste persone come affidabili, calme, pazienti. 
					Accade 
					però anche il contrario. Alcune persone si costruiscono 
					un’immagine di sé bella, nobile, altruista; usano 
					continuamente parole come comprensione, tolleranza e 
					solidarietà, salvo poi scontrarsi con una realtà fatta di 
					altri che colgono una ben 
					diversa immagine. Si tratta spesso di individui che si 
					sentono frustrati nella vita lavorativa, delusi dalle 
					relazioni, o che non riescono a realizzarsi come vorrebbero, 
					vittime disarmate di questo mondo di ladri (infatti è
					negli altri che vedono il 
					peggio). 
					In 
					entrambi i casi, la maschera è una 
					difesa, dall’amarezza, dalla sofferenza, dalla 
					sensazione di sconfitta. In entrambi i casi, è una difesa 
					fallimentare. Gli individui 
					del primo gruppo non vedono i propri aspetti positivi, non 
					sanno valutare ed apprezzare le proprie capacità, quasi mai 
					inferiori a quelle degli altri. Gli individui del secondo 
					gruppo sono talmente preoccupati di nascondere i propri lati 
					negativi, che sprecano tutte le energie a 
					sentirsi buoni, invece che 
					utilizzarle per sentirsi, ed essere, meno frustrati.
					 
					In tutti 
					i casi, bisognerebbe riflettere un po’ di più sull’opinione 
					che gli altri hanno di noi ed 
					ascoltare con un po’ più di fiducia le osservazioni che ci 
					vengono dalle persone che stimiamo. Non per farcene 
					condizionare, ma per avere di noi stessi una visuale diversa 
					da quella nostra, come uno specchio in cui guardarsi con 
					onestà e coraggio, il coraggio di 
					conoscersi veramente prima di poter accettare di 
					noi sia i lati positivi che quelli negativi. Si potrebbe 
					dire che ci conosciamo quasi bene quando ciò che
					vediamo di noi coincide, più o 
					meno, con quanto vedono di noi, 
					nel bene e nel male, gli altri. 
        
      
                  
                  
                
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