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Conoscere la mente......

      

 

   

FamigliarMente  7  

La famiglia e le sue dinamiche. I rapporti reciproci,

le fasi del ciclo vitale, gli eventi più importanti.

 

 

 

Proteggere troppo

 

Il piccolo è volato via dal nido.

E adesso? Cosa gli succederà? A quali pericoli andrà incontro? Chi lo difenderà dal mondo crudele?

Volete una descrizione dell’angoscia? E’ quella cosa che attanaglia una mamma, qualunque mamma, a volte anche il papà, dopo aver lasciato il suo bambino sulla soglia della scuola per la prima volta, la prima volta “da solo”, la prima volta “con estranei”, la prima volta “senza la mamma”!

Per fortuna, ad ogni prima volta segue una seconda volta, una terza, e così via, fino ad abituarsi. In realtà ci si abitua a delegare in parte il proprio controllo e la propria protezione ad altre persone, come gli insegnanti. Ciò a cui è molto più difficile abituarsi è l’idea che il piccolo debba imparare, prima o poi, a cavarsela da solo.

Forse è superfluo ricordare che sto parlando di ciò che accade nel nostro paese, nella nostra epoca, nella maggior parte delle nostre famiglie: sarà superfluo... ma lo faccio lo stesso, considerando in quali terribili condizioni di abbandono, maltrattamento, sfruttamento, si trovano i bambini in tante altre parti del mondo.

Quindi, venendo alla nostra realtà, ragioniamo su quello che è il problema opposto, anche se decisamente meno drammatico. L’argomento su cui vorrei invitarvi a riflettere è l’eccesso di protezione che si dà ai bambini. Ad esempio, domando: se si protegge sempre e comunque un bambino da qualsiasi difficoltà, da qualsiasi piccola frustrazione o delusione, se gli si evitano tutti i possibili motivi di sconfitta o di scontro, in che modo poi imparerà a proteggersi da solo? Se gli si dice sempre di sì, se si cede ad ogni sua richiesta, se non gli si insegna che si può anche sbagliare, o perdere, in che modo imparerà a tollerare qualche momento non buono, e a ritentare, a rialzarsi, a combattere?

Impedire ad un bambino di misurare le proprie forze, al riparo da danni veramente gravi, e con il sostegno e l’incoraggiamento della propria famiglia, significa buttarlo poi allo sbaraglio quando, com’è giusto e fisiologico, da ragazzo dovrà necessariamente affrontare il mondo esterno. Allora potranno verificarsi varie circostanze: il ragazzo potrebbe non saper bene valutare le proprie capacità e commettere degli errori per  eccesso di sicurezza; oppure potrebbe accettare sfide pericolose per combattere dentro di sé il senso di insicurezza e dimostrare a se stesso e agli altri il proprio valore; ancora, potrebbe cercare la sicurezza nel gruppo dei pari, accettando di adeguarsi anche a comportamenti rischiosi, pur di essere considerato come gli altri.

Dire di no non è affatto facile (esistono molti manuali sul tema), ma una domanda che i genitori, una volta di più, dovrebbero porsi è: “Quanto sto facendo per mio figlio, lo sto facendo veramente per lui?. Sto cedendo ad una sua richiesta perché voglio accontentarlo, oppure perché dirgli di no è troppo faticoso e presupporrebbe un conflitto, delle spiegazioni, una messa alla prova della mia autorevolezza? Viceversa, mi sto impuntando in modo veramente e serenamente motivato, oppure lo faccio perché non voglio cedere, o voglio dimostrare la mia forza?”

E bisognerebbe rispondersi con la massima onestà possibile, perché potremo pure prendere in giro noi stessi, ma non si può barare con i ragazzi: se ne accorgono sempre!

Quando mi chiedono se sono o no d’accordo sul classico schiaffone o sculaccione al momento giusto, io rispondo: mentre dai lo schiaffone, chiediti se lo stai facendo, serenamente e affettuosamente, perché le hai tentate tutte e non riesci a ristabilire un minimo d’ordine, oppure se lo stai facendo, astiosamente e rabbiosamente, perché hai perso la pazienza e soprattutto non sopporti provocazioni che feriscano il tuo amor proprio di adulto. In ogni caso non va dimenticato che se una piccola sberla può essere l’utile ultima ratio per un bambino, soprattutto se è seguita da spiegazioni e assicurazioni di affetto, il discorso cambia completamente con un adolescente, con il quale bisogna sempre, comunque, cercare di parlare. E se non ci si riesce, domandarsi se lo si sta facendo nel modo giusto, se sono stati fatti degli errori in passato, se e cosa è possibile fare per cambiare le cose, se è necessario consultandosi, confrontandosi, leggendo, mettendoci insomma tutto l’impegno che spesso si dedica a tante sciocchezze. Senza vergognarsi, se necessario,  di chiedere aiuto.

 

 

 

 

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