FamigliarMente
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La famiglia e le sue
dinamiche. I rapporti reciproci,
le fasi del ciclo vitale, gli
eventi più importanti.
Proteggere troppo
Il
piccolo è volato via dal nido.
E
adesso? Cosa gli succederà? A quali pericoli andrà incontro?
Chi lo difenderà dal mondo crudele?
Volete
una descrizione dell’angoscia?
E’ quella cosa che attanaglia una mamma, qualunque
mamma, a volte anche il papà, dopo aver lasciato il suo
bambino sulla soglia della scuola per la prima volta, la
prima volta “da solo”, la prima volta “con estranei”, la
prima volta “senza la mamma”!
Per
fortuna, ad ogni prima volta segue una seconda volta, una
terza, e così via, fino ad abituarsi. In realtà ci si abitua
a delegare in parte il proprio
controllo e la propria
protezione ad altre persone, come gli insegnanti. Ciò
a cui è molto più difficile abituarsi è l’idea che il
piccolo debba imparare, prima o poi, a
cavarsela da solo.
Forse è
superfluo ricordare che sto parlando di ciò che accade nel
nostro paese, nella nostra epoca, nella maggior parte delle
nostre famiglie: sarà superfluo... ma lo faccio lo stesso,
considerando in quali terribili condizioni di abbandono,
maltrattamento, sfruttamento, si trovano i bambini in tante
altre parti del mondo.
Quindi,
venendo alla nostra realtà, ragioniamo su quello che è il
problema opposto, anche se decisamente meno drammatico.
L’argomento su cui vorrei invitarvi a riflettere è l’eccesso
di protezione che si
dà ai bambini. Ad esempio, domando: se si protegge sempre e
comunque un bambino da qualsiasi difficoltà, da qualsiasi
piccola frustrazione o delusione, se gli si evitano tutti i
possibili motivi di sconfitta o di scontro, in che modo poi
imparerà a proteggersi da solo? Se gli si dice sempre di sì,
se si cede ad ogni sua richiesta, se non gli si insegna che
si può anche sbagliare, o perdere, in che modo imparerà a
tollerare qualche momento non buono, e a ritentare, a
rialzarsi, a combattere?
Impedire
ad un bambino di misurare
le proprie forze, al riparo da danni veramente gravi,
e con il sostegno e l’incoraggiamento della propria
famiglia, significa buttarlo poi allo sbaraglio quando,
com’è giusto e fisiologico, da ragazzo dovrà necessariamente
affrontare il mondo esterno. Allora potranno verificarsi
varie circostanze: il ragazzo potrebbe non saper bene
valutare le proprie capacità e commettere degli errori per
eccesso di sicurezza; oppure potrebbe accettare sfide
pericolose per combattere dentro di sé il senso di
insicurezza e dimostrare a se stesso e agli altri il proprio
valore; ancora, potrebbe cercare la sicurezza nel gruppo dei
pari, accettando di adeguarsi anche a comportamenti
rischiosi, pur di essere considerato come gli altri.
Dire di no non è affatto
facile (esistono molti manuali sul tema), ma una domanda che
i genitori, una volta di più, dovrebbero porsi è: “Quanto
sto facendo per mio figlio, lo sto facendo veramente per
lui?. Sto cedendo ad una sua richiesta perché voglio
accontentarlo, oppure perché dirgli di no è troppo faticoso
e presupporrebbe un conflitto, delle spiegazioni, una
messa alla prova della mia
autorevolezza? Viceversa, mi sto impuntando in modo
veramente e serenamente motivato, oppure lo faccio perché
non voglio cedere, o voglio dimostrare la mia forza?”
E
bisognerebbe rispondersi con la massima onestà possibile,
perché potremo pure prendere in giro noi stessi, ma non si
può barare con i ragazzi: se ne accorgono sempre!
Quando
mi chiedono se sono o no d’accordo sul classico schiaffone o
sculaccione al momento giusto, io rispondo: mentre dai lo
schiaffone, chiediti se lo stai facendo, serenamente e
affettuosamente, perché le hai tentate tutte e non riesci a
ristabilire un minimo d’ordine, oppure se lo stai facendo,
astiosamente e rabbiosamente, perché hai perso la pazienza e
soprattutto non sopporti provocazioni che feriscano il tuo
amor proprio di adulto. In ogni caso non va dimenticato che
se una piccola sberla può essere l’utile ultima ratio per un
bambino, soprattutto se è seguita da spiegazioni e
assicurazioni di affetto, il discorso cambia completamente
con un adolescente, con il quale bisogna
sempre, comunque, cercare
di parlare. E se non ci si riesce, domandarsi se lo si sta
facendo nel modo giusto, se sono stati fatti degli errori in
passato, se e cosa è possibile fare per cambiare le cose, se
è necessario consultandosi, confrontandosi, leggendo,
mettendoci insomma tutto l’impegno che spesso si dedica a
tante sciocchezze. Senza vergognarsi, se necessario, di
chiedere aiuto.
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