SaggiaMente
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Una citazione - un
verso, un proverbio, una frase celebre -
a conferma del fatto
che da sempre la poesia, la letteratura, la
filosofia, la
saggezza popolare hanno fornito
le basi della
moderna psicologia.
"… - Prova a riportarmi un po’ quel
salmone, forse lo mangio -
disse al maggiordomo.
Isabella non esisteva più, pensò… "
(Giorgio Scerbanenco)
“Salmone per Francesca” è uno dei racconti di un famoso
libro di G. Scerbanenco*. E’ la
storia di due donne. Isabella e Francesca si conoscono da
ragazzine, a scuola, e poi, anno dopo anno, durante il buio
periodo che precede la seconda guerra e poi durante
l’occupazione tedesca, le loro vite si allontanano per
riavvicinarsi fuggevolmente ogni tanto, come per un casuale
balletto del destino.
La vita
di Isabella scorre come un ruscello di montagna, è una vita
piena, riempita dagli affetti, dalle difficoltà, dalle gioie
e dai dolori, dalla lotta per i propri ideali. Una vita
aperta alla vita.
Francesca invece è come un albero che rinsecchisce,
nell’anima e nel corpo, e a nulla servono la sua ricchezza,
la famiglia importante, le sue stesse potenzialità,
intelligenza, bellezza, sensibilità, eleganza, contro un
terribile virus che piano piano, inesorabilmente la
mangia viva, la divora letteralmente. Decenni dopo,
rincontrando l’ex compagna di scuola, “…si sentì come uno
straccio vecchio, potè confrontare tutta la sua vecchiezza,
la magrezza neurotica che lei chiamava linea, con
l’elastica, fiorente morbidezza del corpo di Isabella…”
Il
malefico virus che rovina la vita di Francesca è l’invidia,
un sentimento molto più diffuso di quanto tutti vorremmo
ammettere, e che tutti, più o meno, tendiamo a rimuovere,
non riconoscendolo quasi mai, in noi stessi, ma neppure
negli altri, soprattutto in quelli che ci stanno vicino. Da
un punto di vista religioso, l’invidia è uno dei sette vizi
capitali, ma se si considera la sofferenza di cui è
portatrice, forse può essere vista come una vera e propria
malattia, ecco perché ho
voluto parlarne in queste pagine di psicologia.
Molti
confondono la gelosia con l’invidia, eppure sono
profondamente diverse: la gelosia
è la paura che qualcuno ci porti via qualcosa che
consideriamo nostro, mentre l’invidia
è quella forma di sofferenza che nasce dal constatare che
qualcun altro ha qualcosa che vorremmo avere noi. Inoltre
andrebbe distinta la gelosia dalla
possessività, essendo quest’ultima la pretesa di
possedere qualcosa che non è possedibile, come un essere
umano. E l’invidia dall’emulazione,
sanissimo meccanismo che ci spinge a progredire.
Ma la
differenza maggiore sta nel vantaggio che se ne trae:
la gelosia in fondo è un modo per difendere ciò che abbiamo
e riteniamo prezioso, in un certo senso è utile.
L’invidia invece è un sentimento che porta solo una grande
sofferenza senza alcun vantaggio: perché sprecare tante
energie ad invidiare qualcuno, invece di impiegare le stesse
energie a cercare di ottenere le stesse cose? Ma l’invidioso
è sempre convinto che l’altra persona non ha dovuto lottare
e sforzarsi e faticare per raggiungere un risultato, ha
semplicemente avuto più opportunità, più aiuti, e
soprattutto più fortuna. Di conseguenza, se qualcuno ha
avuto più fortuna, è giusto che paghi, tanto per pareggiare
il conto: ecco perché talvolta l’invidia sfocia nella
volontà di fare del male alla persona invidiata, o per lo
meno nell’incapacità di godere del bene altrui, fosse pure
un amico, o addirittura un familiare (esistono numerosi
studi sull’invidia del secondo figlio rispetto al
primogenito). Frequentemente – e fortunatamente - però,
l’invidiato è del tutto ignaro dei sentimenti negativi di
cui viene fatto oggetto, come la Isabella del racconto che,
nella sua sofferta serenità, si dimostra – ed è - sempre
felice di incontrare quella che ritiene una cara “amica”.
Un
altro aspetto fallimentare
dell’invidia è la necessità di minimizzare,
svalutare i risultati ottenuti
dall’altra persona: svalutando l’oggetto della propria
invidia, l’invidioso si illude di soffrire meno: se qualcosa
non vale nulla, perché desiderarla?
Come
frequentemente accade, gli scrittori riescono a descrivere
con pochi tocchi l’animo umano. E’ agghiacciante la frase
di chiusura del racconto di Scerbanenco: Francesca ha appena
saputo della morte di Isabella in un incidente aereo. Ora
può ricominciare a mangiare, e a vivere.
* Giorgio Scerbanenco, “I
sette peccati capitali e le sette virtù capitali”, Rizzoli
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