DolorosaMente
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La sofferenza psicologica è insita nell’uomo e va dalle gravi malattie
mentali a quelle situazioni di disagio che tutti, più o meno,
abbiamo sperimentato o di cui abbiamo
comunque sentito parlare
come stress, ansia, panico, fobie.
Sono depresso!
Una vecchia canzone di Renato
Zero scandiva “sono depresso”… ma con una tale vivacità e una
tale grinta che era molto difficile pensare che si trattasse
veramente di depressione! Oggi sono un po’ depresso… Quante
volte abbiamo detto o sentito questa frase? Nella maggior parte
dei casi, quando si dice "sono depresso" si intende dire: sono
un po’ giù di corda, sono
di pessimo umore, oppure
sono triste,
malinconico,
abbacchiato.
Nonostante l’uso disinvolto
di questa parola, la depressione
è un argomento tutt’altro che facile. Si può tentare tuttavia di
semplificare ciò che non è semplificabile e sintetizzare quanto
non è sintetizzabile, a patto di non perdere di vista la reale
complessità di tale argomento. D'altronde esistono sulla
depressione monografie, tomi, trattati, a cui si rimanda chi
volesse saperne di più.
Prendo a prestito due termini
inglesi – si sa che la lingua inglese è eccezionalmente
sintetica – che sono helplessness
e hopelessness. Questi
due termini indicano rispettivamente una situazione, vissuta
soggettivamente, in cui non c’è possibilità di essere aiutati,
e non c’è possibilità di speranza. Quindi il modo di
vedere le cose del depresso, quell’umore nero che quasi tutti
saltuariamente abbiamo sperimentato è talmente intenso e
pervasivo che non permette di vederne la fine . Ognuno di noi,
soprattutto se non è più giovanissimo, sa che certi
momenti, in cui si vede tutto nero, vengono e poi… passano. Al
depresso manca proprio questa consapevolezza, anzi, la sua
convinzione è che non ne uscirà mai più. A tale convinzione
possono associarsi i sintomi più diversi: ad esempio
inspiegabili disturbi fisici; o la
stanchezza, che non è la normale stanchezza che si
manifesta dopo una fatica, è una stanchezza, uno
sfinimento, che si sente prima di una fatica, fosse anche
la più piccola. Fino al punto, nei casi più gravi, da non aver
più la forza, ma sarebbe meglio dire la
motivazione, per
muoversi, per fare, persino per parlare.
Ad aggravare la situazione,
c’è un altro fatto: a nessuno verrebbe in mente di dire ad un
malato con la febbre “sforzati di fartela passare, mettici un
po’ di volontà, dipende da te”... Ma questo è spesso ciò che il
già disperato depresso si sente dire, pur con le migliori
intenzioni, da chi gli sta intorno.
Ma come nasce la depressione?
Anche in questo caso cercherò di sintetizzare i punti essenziali
delle diverse teorie che cercano di spiegare la
patogenesi della
depressione.
Da un punto di vista
strettamente medico, la depressione è una malattia, e come tale
è descritta nelle nosografie ufficiali. Sarebbe ancora più
esatto parlare di depressioni,
in quanto esistono varie forme di depressione, con
caratteristiche e manifestazioni differenti, e differenti gradi
di gravità.
I teorici dell’organicismo
mettono l’accento su uno squilibrio tra i
neurotrasmettitori, che
sono, come dice il termine, dei messaggeri chimici, in pratica
delle molecole, che viaggiano da una cellula nervosa
all’altra, portando messaggi
di vario genere. Che la depressione comporti o coincida con
questo squilibrio, è provato dall’efficacia di alcuni farmaci
che tendono appunto a ripristinare una situazione fisiologica.
Ma c’è un problema: non è ancora chiaro se questo squilibrio sia
la causa o l’effetto della depressione.
C’è infatti un diverso modo
di vedere la depressione, ed è quello di interpretarla non come
una malattia, ma come un sintomo,
come rivelatrice cioè di qualcosa di più globale, che investe
tutta la personalità di un individuo: è come se una sofferenza
profonda e sedimentata, dovuta alle cause più diverse, dalla
deprivazione di affetto nell’infanzia, a precoci esperienze di
perdita, ad una mancanza di autostima e sicurezza, sfociassero–
in determinate circostanze e apparentemente senza un nesso
evidente – in una depressione. Insomma una
malattia dell’anima che
rimane a lungo latente, come certi virus herpes, per poi
aggredire nei momenti di maggiore fragilità e debolezza.
Come per altri quesiti in
tutti i campi dello scibile, sarebbe bene non escludere mai
alcun apporto e tener conto dei vari fattori che potrebbero
completare il quadro delle nostre conoscenze. Non a caso sempre
più spesso, e non solo per i problemi psichiatrici, si parla di
multifattorialità. E’
probabile che su una base costituzionale di un certi tipo,
alcune circostanze di vita o alcuni eventi, non necessariamente
traumatici, concorrano a creare quella situazione di sofferenza
psicologica, unita ad uno scompenso fisico-chimico, che
chiamiamo "depressione".
A sostegno di quanto appena
detto, due parole sulla terapia. Tutte le più serie e recenti
ricerche concordano su un punto: la maggiore efficacia
terapeutica si ottiene combinando un
trattamento
farmacologico, soprattutto
all’inizio, con una buona
psicoterapia che tenda a scoprire alla radice le cause
che predispongono alla depressione, e ad individuare ed
eventualmente modificare quegli atteggiamenti mentali che
possono portare facilmente a delle ricadute.
Insomma il farmaco come
aiuto, non come unico rimedio. Pensiamo ad una barca a vela:
talvolta per uscire dal porto, stretto, affollato e riparato dal
vento, si ha bisogno del motore. Ma una volta in mare aperto, si
possono spiegare le vele...
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